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Sono le due del mattino e non riesco a prendere sonno. Mi giro e mi rigiro nel letto, nervoso, inquieto.
Colpito nel vivo.
“Il vecchio Joe è ancora capace di tirare qualche scherzo di pessimo gusto” penso, adeguando il mio linguaggio mentale al perfetto stile – Lansdale, mentre un ghigno obliquo si disegna sulla mia bocca.
Da meno di mezz’ora ho concluso “La sottile linea scura”, ed ancora non mi sono ripreso dall’impatto emotivo che la lettura ha avuto su di me.
Lo stile di scrittura è, come al solito, leggero, ironico, sagace; in grado di amalgamare principi di spessore (i problemi razziali del Texas nel corso del Dopoguerra, la discriminazione nei confronti delle donne, il fanatismo religioso) con una tecnica narrativa colorata e divertente, capace di far digerire al lettore immagini forti, crude, spesso venate di autentica violenza.
Il caro vecchio Joe è in forma smagliante, per tutti i diavoli. Così in forma da poter decidere, in maniera assolutamente anarchica ed indisciplinata, di congedare il lettore con un pugno nello stomaco Due. Tre. Una sequenza continua: gancio, diretto, montante. Il lettore è alle corde.
Abbattuto.
Annientato.
La chiave di tutto ciò sta nel titolo: “La sottile linea scura”, che solca il lento incedere della quotidianità dividendo il mondo dei vivi da quello dei morti, il regno del mistero da quello dell’esperienza, la terra dell’ignoranza da quella della conoscenza. Lungo questa sottile linea scura si aggira il protagonista, il tredicenne Stanley Mitchell Jr., inizialmente presentato come un candido lenzuolo innocente (“dispiace dirlo, ma avevo appena smesso di credere a Babbo Natale, e la cosa mi faceva andare in bestia”). Questo è il livello, per intenderci: Stanley non sa nulla del mondo e della vita né, soprattutto, della cattiveria degli uomini.
Imparerà presto.
Grazie ad una presa di coscienza costante e inevitabile, i suoi occhi capiranno che, all’interno della società in cui vive, la maggior parte degli uomini si ritiene in diritto di pestare a sangue donne e bambini, di umiliare e torturare chiunque sia diverso da loro, di violare leggi e diritti altrui poiché i soldi ed il potere possono comprare ogni cosa.
Siamo in Texas nell’estate del anno 1958, ma per i contenuti e le questioni etiche scandagliate da Lansdale, vi assicuro che il romanzo è di un’attualità sconcertante.
L’esistenza di Stanley si arricchirà, nel corso di quella strana estate, e la sua esistenza comincerà a plasmarsi in qualcosa di edificante, poiché ‘iniziato’ nel suo percorso da modelli familiari costruttivi (altro tema ricorrente nella letteratura di Lansdale). Alla fine, quando il mistero verrà risolto e la sottile linea scura dividerà definitivamente il mondo dei buoni da quello dei cattivi, Stanley sarà pronto ad affrontare la vita, non osservando più il mondo da una posizione ovattata e sicura, al pari di un qualsiasi avventore del Drive – in di famiglia, ma gettandosi a capofitto in esso.
Abbracciando la vita a piene mani, senza paura.
La sensazione di angoscia che opprime il mio animo non deriva dalla vicenda in sé, ma dal suo epilogo: Stanley, ormai anziano, parla nuovamente della sottile linea scura, che graffia l’esistenza umana collocando gli esseri viventi in recinti diversi, quasi incomunicabili tra loro, a seconda delle scelte che il libero arbitrio di ciascuno ha compiuto.
Il buio di questa linea ingloberà ciascuno di noi, presto o tardi, conducendolo in un regno ignoto e misterioso: tuttavia, finché ci troveremo al di qua del confine, la dignità umana sarà il valore più autentico cui appellarsi per rendere l’esistenza meritevole di essere vissuta.
Mi giro e mi rigiro nel letto. Niente da fare.
Non riesco a dormire, diavolo di un Lansdale.
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una recensione di Marco LaTerra