Regno a venire (“Kingdom Come”) è l’ultimo romanzo pubblicato da J.G. Ballard. Termina qui, con la recensione di quest’opera, il nostro viaggio alieno intorno ad un autore che, pur se variamente apprezzato, sappiamo aver rappresentato una figura primo piano all’interno del postmodernismo europeo.

Clicca sulla copertina e acquista il libro
Parlarvi di questo libro non è semplice perché non si tratta “soltanto” dell’opera letteraria, ma di quello che, a mio parere, costituisce il “testamento spirituale” dello scrittore britannico per il pubblico dei suoi lettori. Malgrado l’apparente trama di avvincente romanzo, infatti, sin dalle prime righe si intuisce la vena fortemente contestatrice nei confronti dell’ambiente sociale e politico che Ballard vedeva davanti a sé, e di cui immaginava gli aspetti più distruttivi.
La storia, come forse già sapete, inizia con il famoso pubblicitario Richard Pearson, in crisi professionale a causa del fallimento della sua ultima campagna promozionale, che da Londra arriva in questa cittadina di provincia, Brooklands, per sistemare alcuni affari di famiglia e scoprire qualcosa in più del padre, morto durante la folle sparatoria di un pazzo all’interno del grande centro commerciale Metro-Centre, situato nel e divenuto nel tempo il cuore della cittadina stessa. Brooklands e i suoi abitanti sono i veri protagonisti del romanzo, rispetto al quale Richard Pearson rappresenta invece, con la sua voce narrante, l’alter ego dello scrittore.
Il contesto in cui si dipana la storia è torbido ed immaginifico ma, chissà perché, non ci suona così estraneo.
La cittadina di Brooklands è letteralmente posseduta dal consumismo (troverete questa parola ripetuta decine e decine di volte lungo tutto il romanzo). Il centro commerciale è come un tempio all’interno del quale si predica la pubblicità e si celebra lo shopping di massa, mentre i fedeli, neoproletari sostanzialmente analfabeti, cercano il loro riscatto in uno squadrismo del nulla, trasformandosi da vittime a responsabili della loro stessa miseria.
Una forte tensione religiosa pervade tutto il romanzo (persino nel titolo “Kingdom Come”, che corrisponde esattamente all’espressione “Venga il tuo Regno” del padrenostro, recitato in inglese), una tensione a cui Ballard cede senza troppo nasconderlo. Come fosse un profeta del nuovo millennio, il suo messaggio risuona continuamente: verrà il giorno in cui…
Personalmente non sopporto le prediche, ancor meno se a farle sono gli scrittori, gli artisti. Però, dato che posso vantare di non avere la coerenza tra le virtù del mio carattere, nei confronti di Ballard e di questa sua opera-ultima sento di dover essere indulgente.
Il romanzo sconfina eccessivamente nella denuncia politica e per questo motivo, a mio parere, perde gran parte della sua “letterarietà”. Questo è un fatto che non posso nascondervi, ma che nulla toglie alla forza (e alla verità) del suo messaggio:
“Il futuro è morto e noi siamo sonnambuli in un incubo. Vedo periferie che si diffondono per il pianeta, la suburbanizzazione dell’anima, vite senza senso, noia assoluta. Una specie di mondo della tv pomeridiana, quando sei mezzo addormentato. E poi, di tanto in tanto, bum! Un evento di una violenza assoluta, del tutto imprevedibile: qualcosa come un pazzo che spara in un supermercato, una bomba che esplode. E’ pericoloso”.
Così parlò James Graham Ballard.
Vale la pena di pensarci su.
___
una recensione di Raffaella Foresti
15 luglio 2014
Ciao, ho appena finito di leggerlo e volevo chiederti, in che senso sconfina troppo nella denuncia politica? Grazie