Recensione di Marco La Terra
Mi è capitato di leggere questo breve romanzo cinque anni fa circa, quando avevo quell’età in cui si crede ancora in quell’ineffabile, metafisico ed impalpabile concetto denominato Amore (il maiuscolo è d’obbligo). Mi ricordo che a quell’epoca fui pervaso da sentimenti positivi, delicati, morbidi come i fianchi sinuosi di una donna piacente ma priva di malizia: col senno di poi, posso tranquillamente affermare di aver avvertito emozioni sprovviste di qualsivoglia fondamento reale, per quanto ci sperassi sul serio.
A distanza di cinque anni, sono stato assalito dalla curiosità di fronteggiare nuovamente il cuore indomito di questo vecchio novantenne (il protagonista), per capire quali sensazioni il mio cuore, pressoché in letargo, avrebbe potuto avvertire.
Devo dirvi che le sensazioni provate adesso sono più complesse rispetto al passato, e vi spiego perché.
In primo luogo, sono riuscito a scandagliare il sentimento d’Amore, esploso nel petto di quest’arzillo novantenne, col prisma del buon senso, sintomo ambiguo di una maturità mentale finalmente raggiunta o di un’aridità affettiva oramai conclamata in colui che vi sta scrivendo. Lasciando in sospeso la soluzione di questo dilemma, del quale giustamente potrebbe non importarvene alcunché, dal mio punto di vista Garcia Marquez costruisce un sentimento amoroso molto contraddittorio, carico di luci ed ombre.
Cinque anni fa vedevo soltanto le luci: ora ho colto anche il rovescio della medaglia.
Mi spiego.
Il protagonista ha sostanzialmente dilapidato la propria esistenza, sfuggendo con sconcertante regolarità a quel senso di responsabilità che sta alla base del rischio, a sua volta condicio sine qua non di ogni conquista personale, sia essa lavorativa o affettiva: sul piano professionale si è accontentato di lavoretti marginali, esternando le proprie modeste doti di scrittore in opere pedanti e banali, nelle quali l’apporto della propria umanità è stata pressoché inesistente.
Sul piano affettivo, nessun amico.
Sul piano amoroso, non è mai stato con una donna senza pagarla.
Meno di zero, dunque.
Il giorno del suo novantesimo compleanno, questo perdente nato decide di regalarsi una notte d’amore con una fanciulla vergine di quattordici anni, allo scopo di dare un significato autentico ad almeno un giorno della propria vita: non più ulteriore passo verso la morte, ma esaltazione della gioia di vivere. Come un fulmine a ciel sereno, il protagonista si rende conto di essere vecchio e prossimo alla morte e, afferrando il coraggio a piene mani, decide di rompere il guscio nel quale si è sempre rinchiuso.
Finalmente, sceglie di vivere.
E decide di battezzare quest’improvviso mutamento di prospettiva concependo un gesto di rottura, evidentemente contrario rispetto a tutte le leggi naturali: congiungersi carnalmente con un’adolescente di settantasei anni più giovane. Del resto, ad un’intera vita condotta contro natura, entro un eremo creato ad arte, non può che contrapporsi un gesto parimenti contro natura, allo scopo di trovare il tanto sospirato equilibrio.
I propositi del vecchio si realizzano solo in parte: dopo numerosi passi avanti ed altrettanti passi indietro, il protagonista si innamora di Delgadina vedendola dormire, senza mai possederla né sfiorarla. La contemplazione del corpo di questa fanciulla, teneramente addormentata nel letto, conduce il cuore del vecchio entro quei meandri che si era sempre rifiutato di esplorare.
E finalmente ama.
Finalmente vive.
Anche a novant’anni, anche nell’imminenza della morte, si può amare.
Ed amando, si sceglie sempre e comunque la Vita.
Questo per quanto riguarda il lato solare della vicenda.
Il rovescio della medaglia è rappresentato dalle basi su cui poggia quest’Amore, nato dalla venerazione di un corpo addormentato e dalle emozioni sorte di conseguenza: per quasi tutto il romanzo, Delgadina ed il vecchio non si rivolgono la parola.
L’Amore del protagonista è di natura estetica, e si sviluppa attraverso immagini, sogni e speranze completamente disancorati dalla realtà: nel cuore del vecchio, la crescita di questo sentimento segue meandri metafisici, del tutto privi di riscontri effettivi. L’unico ancoraggio al mondo reale emerge soltanto nelle ultime righe, dove l’Amore del protagonista trova corresponsione in Delgadina e tutto, all’apparenza, parrebbe trovare ordine ed equilibrio.
In particolare, la conclusione del romanzo (“era finalmente la vita reale, col mio cuore in salvo, e condannato a morire di buon amore nell’agonia felice di un giorno qualsiasi dopo i miei cent’anni”) sembrerebbe chiudere perfettamente il cerchio e, per carità, magari è davvero così! Cinque anni fa mi sarei fermato qui, nelle mie osservazioni.
Adesso, in tutta onestà, considero quest’epilogo estremamente artificioso, e per certi versi banale: non vedo autentico Amore lungo lo svolgersi del romanzo, ma il semplice materializzarsi di un’incredibile paura di morire con la certezza di non aver mai vissuto.
È già difficile dover accettare l’idea della morte, se poi questa è associata alla consapevolezza del proprio fallimento esistenziale, allora il peso diventa così insostenibile da spingere l’uomo verso due inesorabili alternative: il suicidio o lo smantellamento delle proprie convinzioni passate.
Non è l’autentico Amore a spingere il vecchio al ravvedimento, ma la disperazione per come aveva sempre vissuto sin lì: tutto ciò che ne nasce in seguito è frutto di questo senso di disperazione, frammisto ad una dose non banale di codardìa.
È solo la mia opinione, ovviamente: il romanzo si legge d’un fiato, l’idea di fondo molto originale e, per come viene sviluppata, suscettibile di molteplici interpretazioni.
Questa è la mia.
Aspetto la vostra.
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Marco LaTerra [email protected]
25 settembre 2011
Non ho letto il romanzo ma la recensione mi sembra fantastica perchè oltre ad essere colta è anche molto personale e sentita.
Ed è anche una bellissima “lezione di lettura” nel senso che si percepisce uno “scambio d’anime” tra il lettore e il romanzo, il che è precisamente ciò che io intendo per “leggere”.
29 agosto 2012
l’ho appena comprato…e forse un pò mi è passata la voglia di leggerlo…cos’altro posso sperare di scoprire che non sia già stato da te esplorato? nonostante tutto mi sembra una buona cosa.
22 marzo 2015
Purtroppo il peggior romanzo di GGM. Un autore che mi è tanto caro. Manca del tutto la magia del grande poeta. A parte i capolavori che lo rendono forse il più amato scrittore del 900, questo romanzo breve non ha nulla a che vedere con opere minori tipo Cronaca di una morte annunciata. La stanchezza dell’autore è riflessa nella stanchezza del protagonista, così come l’aridità della vena poetica di GGM fa il paio con l’aridità esistenziale del novantenne.