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08:46:30

Le situazioni narrate in questo racconto sono ispirate a fatti realmente accaduti, raccontati dai sopravvisuti o dai parenti delle vittime dell’attentato alle twin tower dell’11 settembre 2001, nel documentario “inside the twin tower” distribuito da Discovery Channel.

Lui un giorno camminerà sul piazzale vuoto, cosparso di fiori, di lettere e di rosso, di bianco e  di blu;  il volto afflitto da ciò che ha visto. Stringerà la mano del figlio e gli racconterà ciò che suo padre diceva sempre: quelle torri sono il simbolo dell’Occidente e non crolleranno mai. Pochi istanti fa all’ottantanovesimo piano George ha visto Caroline ed è rimasto impressionato da quel suo corpo magnetico. Si è sistemato la cravatta ed ha premuto i piedi sul pavimento per assestare la virilità al suolo, gonfiare il petto ed aprire le spalle. Lei si è avvicinata ed ha fatto un gran sorriso. Piacere, io sono Caroline, vengo dalla Carolina del Sud. Non ho mai sentito coincidenza più divertente, ha risposo lui. Tutto bene il viaggio? Si. Molto tranquillo. Ti posso offrire un caffé? Adesso le persone stanno camminando. Molte verso di me. Molte altre sui loro piani. Piani di lavoro. Uffici. Chi sopra il buco, chi sotto. Studiano la situazione, guardano fuori dalle finestre. Io saluto ma loro vedono il fumo. Lo sentono anche. Adesso passa qualche minuto e l’altoparlante dice rimanete tranquilli alle vostre scrivanie. Rimanente tranquilli alle vostre scrivanie. Nella torre sud l’altoparlante dice building two is secure. There is no need to evacuate building two.  Si sbagliano poverini. Io lo so. Qualcun’altro viene verso di me. Roberto cammina per le scale. Non ascolta i consigli. E’ molto in alto e lo posso vedere mentre procede madido.  Pensa che più scende e più fa caldo. Chissà cosa Diavolo è successo! Come cazzo posso camminare con questo buio? Cristo Santo che fumo! Cazzo la tosse! Forse è meglio salire sul tetto. Chun Lee è bloccata nell’ascensore. C’è stata una grande esplosione nella struttura, we have a large explosion in the building, dice l’altoparlante a fessure sopra i tasti grigi. E noi cosa possiamo fare? Cosa possiamo fare? L’altoparlante non risponde e anche Pedro che prima guardava la scollatura di Chun Lee con interesse pensando fosse l’inizio di una giornata meravigliosa, ora ha molta paura e inizia a pregare. Vedo la sua preghiera aprire il cielo. E’ di colore rosso e tra poco raggiungerà il Sole. All’ottantottotesimo piano, al Construction Manager’s Office lui dice alla moglie che sa cosa lei pensa. Ma io conosco questo edificio come le mie tasche e non accadrà quello che stai pensando. Ora stai qui tranquilla. Un piano sopra Josephine indossa una camicia bianca. E’ seduta con la sua gonna blu sulla moquete, le calze bianche, rotte. I suoi colleghi si muovono come sonnambuli affetti da tracheite e i secondi si sono espansi in momenti senza fine, dove il pensiero estende le possibilità del dolore. La mano bagnata afferra la cornetta. Le dita sudate scivolano sui tasti, i cui numeri si sfocano ad ogni beep. Siamo senz’aria, grida. L’aria pulita è scesa giù, non so dove. Non sto esagerando. Cosa dobbiamo fare? Possiamo rompere le finestre? Mi sente, eh? Mi sente. La cornetta dice che possono rompere le finestre. Allora lei grida che si possono rompere le finestre. Rompete le finestre! Rompete le finestre! Adesso passano due minuti e trenta piani più sotto si alza dalla scrivania Habram, che ha la voce profonda, profonda e scura come la sua pelle. Vede un collega che con una sedia di ecopelle tenta di sfondare i cristalli della finestra rettangolare, che nessuno mai ha potuto aprire. Che diavolo stai facendo? Mi spieghi che diavolo stai facendo? Sei diventato scemo? Se apri quella finestra entra ossigeno, vento e qui va tutto in fiamme! Allora poggia la  mano che sembra una vanga alla spalla del collega, che forse è irlandese, lo sbatte a terra e lui non si lamenta e rimane sul pavimento come uno straccio poco strizzato. Si appoggia al vetro Habram e vede una forma che scende veloce come superman in picchiata. L’avete visto? Eh? L’avete visto? Era una sagoma… cazzo si buttano giù! Al quarataquattresimo piano tre dirigenti di una compagnia di assicurazione riescono a raggiungere un gruppo di pompieri. Li scorgono passare da una porta aperta, che si affaccia su un atrio di ascensori dalla rampa di scale antincendio. Scusa ragazzo. Che cosa è stato? Un incidente? No. Siamo in guerra, risponde il pompiere. Allora lui rimane fermo e chiama la moglie. Al cellulare non risponde. Così cambia l’ultimo numero e risponde una voce. Ehi, mi sente, mi sente? Mi chiamo Igor, le do un numero e lei lo deve chiamare! E’ il numero di mia moglie! Cosa sta dicendo? Mai chi parla? Sono Igor. Mi trovo al word trade center. Oh mio Dio, mi spiace! Cosa devo fare? Mia moglie ha il suo numero ma l’ultima cifra è un sei. Componga il  numero e le dica, le dica… Mi scusi? Cosa devo dire? Le dica che sto bene. Da qualche altra parte, che ora non è più importante, Melany chiama il marito. Devi dire ai ragazzi che li amo. Di’ loro che li amo. Va bene, lo farò. Tu stai bene? Ti amo Steve. Anch’io. Ti amo. Anch’io. Ti amo davvero. Anche io ti amo davvero, chiamami quando riesci a scendere. Addio Steve.

Molti erano con me, nei primi sei piani, oppure nell’aereo. Altri mi hanno raggiunto dopo un tuffo. Altri ancora con un colpo di tosse e molti altri ci hanno seguito alle 10:07 o alle 10:28. Ci voltiamo. La grande città indossa un sudario di fumo ed il cielo è striato di preghiere e di sms. Sembrano scie d’aereo, di quelli che volano lontani, in luoghi di pace o di famiglia. Di quelli che guardi da un prato o da una sedia, in giardino, mentre bevi una birra con il maglione perché inizia a fare freddo. Tutti salutano. Tutti dicono ti amo, in un modo o nell’altro. Le preghiere bussano al cielo, gli sms bussano ai cuori, in centosessanta caratteri d’addio. Ignoro se verranno ascoltate o se il destinatario sia scritto in modo corretto. Però ci prendiamo per mano, anima nell’anima, ed in questo tepore materno, voliamo verso il Sole.

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un racconto di Giorgio Michelangelo Fabbrucci

Author: Giorgio Michelangelo

Giorgio Michelangelo Fabbrucci (Treviglio, 1980). Professionista del marketing e della comunicazione dal 2005. Resosi conto dell'epoca misera e balorda in cui vive, non riconoscendosi simile ai suoi simili, ha fondato gli Alieni Metropolitani... e ha iniziato a scrivere.

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2 Comments

  1. Impressionante e… non so che dire. Mi ha coinvolto moltissimo.

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  2. commovente, toccante, struggente. Grazie

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