Ho provato a calarmi nei panni dell’autore, di fronte alla sua opera prima. Ho anche tentato di immaginare le fantasie, gli incubi e le aspettative paurose dei primi anni sessanta: guerra fredda, la Russia, gli alieni e la minaccia atomica. Ciò nonostante non sono riuscito ad apprezzare questo libro.
Non scandalizzatevi, vi prego. So benissimo che stiamo parlando di una delle più grandi firme della fantascienza e di un maestro dalla letteratura inglese contemporanea!
A mia parziale discolpa vorrei ricordarVi, cari lettori, che fu proprio James Graham Ballard in persona che, qualche anno dopo la pubblicazione (1962), rinnegò questo suo primo figlio.
Chiarita la situazione, veniamo al testo. “Vento dal Nulla” è il primo romanzo di Ballard ed anche il primo di una tetralogia dell’apocalisse, in cui i quattro elementi aristotelici, colpiscono all’improvviso il nostro pianeta in tutta la loro catastrofica portata, prostrando l’umanità ai piedi della natura tiranna.
L’idea di per se è forte ed originale, come lo sono le prime pagine del testo: un crescendo di ansia, incredulità ed angoscia per un vento che non da segno di cessare.
Londra entra in difficoltà, la sabbia inizia a coprire ogni edificio, a spezzarne le finestre; le automobili vengono trascinate in aria e la popolazione copre di sacchi di terra ogni angolo, nell’ansia della sopravvivenza.
In questa cornice si sviluppano due storie parallele, che si incroceranno, in modo del tutto non credibile, a fine testo: da un lato Donald Maitland, medico londinese in fuga (fallita per il blocco del traffico aereo), deluso dalla vita coniugale con una giovane miliardaria; dall’altra il Capitano Lanyon, approdato a Genova con il suo sommergibile per recuperare a Nizza un collega che scoprirà essere morto da giorni. Il dottore percorrerà le vie di Londra, si rifugerà da un amico e grazie a lui collaborerà con il Ministero, scoprendo un gruppo segreto e misterioso, guidato dal megalomane Hoover. Il Capitano contemporaneamente si perderà in Liguria, si trascinerà per improbabili gallerie segrete che portano a Genova, si innamorerà di una giornalista inglese, riprenderà il suo super sommergibile (che a quanto pare non ha paura di centinaia di nodi e del relativo tsunami) e con quest’ultimo tornerà a Londra.
Le due storie si incroceranno verso la fine quando, incontrandosi in un mezzo di trasporto speciale dell’esercito, i nostri eroi finiranno in una strana piramide nera, piena di agenti vestiti di nero, con bandiere nere, guidati dal folle Hoover, che organizza tutto questo splendore faraonico non tanto per una possibile dittatura post-vento ma piuttosto per essere ricordato come l’unico uomo che ha osato sfidare madre natura prima che il mondo finisse… mah. I protagonisti non verranno giustiziati; al contrario verranno catturati e lasciati vivi per produrre interviste apologetiche. Dulcis in fundo la piramide crolla, i nostri sopravvivono ancora e poco prima di morire il vento finisce. Evviva!
Spero ora capirete la ragione del mio disgusto. La storia che ho infelicemente narrato nelle righe precedenti è di certo scritta bene, con un gusto da romanzo poliziesco. I colpi di scena sono inseriti al punto giusto, i personaggi sono caratterizzati (almeno per ciò che riguarda i due protagonisti principali) in modo piuttosto deciso. Nondimeno tutto l’impianto del testo crolla sotto le azioni e le scelte dei nostri attori. Decisioni, affermazioni e movimenti che superano la verità fisica e mentale in modo grottesco, annullando i veri sentimenti di paura che dovrebbero essere presenti in una situazione apocalittica, con il risultato di rendere il tutto poco o nient’affatto credibile. Di pagina in pagina vi sembrerà di passare da un buon romanzo dai tratti fantastici (non fantascientifici!) ad una delle più brutte pellicole di James Bond (con tanto di cattivoni vestiti in modo grottesco).
Capisco insomma la ragione “dell’abiura” del testo da parte del suo creatore e il perché, dopo quarant’anni, non sia stato ancora ristampato.
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una recensione di Giorgio Michelangelo Fabbrucci