Paese inesistente sulle carte geografiche, sospeso nell’irreale mancanza di ufficialità nei confronti del mondo, Palmira ottiene un puntino sulle mappe in seguito alla sua scomparsa e ricostruzione. È il terremoto del 1980, ad un tempo, il responsabile della distruzione di tutti i quartieri e il mezzo per pervenire all’ufficialità. Ricostruita dopo il sisma irpino, l’inventata città di Palmira esce dal tempo del mito e fa in suo ingresso in quello della Storia. Le storie, invece, quelle molteplici e intricate, sono affidate alla memoria e alla trascrizione di Viviana Pettalunga, studiosa di civiltà mediterranee, dalla narrazione di Vito Gerusalemme, un mastro falegname solo apparentemente ritroso ma in realtà prodigo di racconti.
La storia di Palmira da consegnare ai posteri ha come apparente destinataria l’ultima sposa del titolo, Rosa Consilio: è per lei che Gerusalemme sta intagliando l’albero genealogico del paese sul mobilio commissionatogli per l’imminente matrimonio, ma il paziente e amorevole lavoro artigianale offre l’occasione al falegname per raccontare anche a Viviana le storie di Palmira.
A ogni capitolo ambientato nel 1980 fra le macerie del terremoto segue il racconto senza tempo di un avvenimento magico che vede protagonista progressivamente ogni esponente delle generazioni di Palmira, dal patriarca a Rosa Consilio: Cent’anni di solitudine è un riferimento certamente ben presente per Giuseppe Lupo: e il luogo d’elezione del mistero nello Stivale è certamente l’entroterra meridionale, la Basilicata (la Lucania [sic] patria dell’autore).
Di sicuro il libro è un atto d’amore nei confronti dei racconti e l’addio narrativo a un mondo che viveva di storie magiche, ma non per questo meno reali. In Italia libri di questo tipo hanno ancora spazio: la passione dei nostri connazionali per le narrazioni piane, con ampio respiro e una struttura facilmente individuabile consente al realismo magico (non più un’innovazione, ormai canonizzato) di convivere con la sperimentazione più propriamente postmoderna, ardita, innovativa.
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una recensione di Carlotta Susca [email protected]