In quell’angolo di traffico, apriva le sue porte un bar. Il vecchio Giuseppe parlava almeno tre lingue, una per provincia. Era nato nel mezzo di un triangolo lombardo e poteva comunicare con disinvoltura con cremaschi, milanesi e bergamaschi. Qualche vocale gli si incastrava in bocca, tra il filtro della Marlboro ed i baffi ingialliti, producendo cambiamenti inaspettati nella pronuncia. Nondimeno il tono squillante e la gestualità vesuviana, lo rendevano un ottimo menestrello per il tempo di un caffè. Di tanto in tanto le storie si prolungavano, obbligando l’avventore ad assassinare il Lavazza con un goccio di Nonnino.
Perché la vita non mi ha dato nulla; perché ero stufa, ambiziosa, bella; perché forse era scritto, decisi di scappare. La fuga, in fondo, è stata ancor meglio dell’attesa; ed anche l’attesa, quel continuo sperare e pregare un’occasione, si è dimostrata utile. La volontà, in quei giorni di ghiaccio e di vodka, raggiunse la consapevolezza intrepida dell’aviatore.
Così ecco l’Italia anni ottanta, che mi accoglie a gambe aperte, chiedendo il medesimo gesto.
Era da almeno una settimana che non facevo un salto. Lo vidi all’uscio, tutto preso da una vecchina secca come una rana fritta, oppure ingobbita come il campanaro di Notre Dame, in sella ad una di quelle biciclette che neppure in Cina riusciresti a vendere.
Sul portapacchi due cartoni umidi, come di pioggia, o forse di verdura, incastrati l’uno perpendicolarmente all’altro.
Beppe, sventolando il braccio destro e sgranando gli occhi, mi pregava di avvicinarmi.
Allora me lo porta domani signora. Grazie mille e arrivederci, disse.
- Ciao Beppe.
- Ciao Bob!
Non mi aveva mai chiamato Bob. Non potevo comprenderne il motivo, di solito mi chiamava Ever. Anche in questo caso le ragioni si perdono nei meandri di una rubrica affollata, macchiata di grappa e di rhum.
- Chi era la Signora?
- Boh Bob! Boh! Però domani mi porta lo sterco del cavallo! Perché mi ha detto che le mie piante ne hanno bisogno. Eccome se hanno bisogno Bob! Guarda lì… domani non sono mica più così sai!
- E come saranno domani ?
- Eh, bella domanda! Come saranno domani, Bob? Eh, lo sai come saranno?
- No Beppe, io non ho il pollice verde.
- Neanche io Bob, però domani le piante saranno bellissime! Già, vedrai che roba! Basta un goccio di cacca di stallone e vedrai che roba!
Mi piaceva camminare in via Benedetto Marcello. Il mercato rionale: vicino al mio hotel, vicino alla Stazione Centrale. Forse sentire il rumore dei treni, quello sferragliare non troppo lontano, mi lasciava sul palato un rinnovato gusto di fuga. Fare l’insegnante, pagata come un pescivendolo, oppure come un muratore; avrei potuto farlo. Invece la notte. Il palo. Il drink. Gli occhi belli, di mariti, quelli si, in fuga. Da cosa poi? Forse dall’apatia di una vita (non nascondiamoci dietro a un dito) che non è mai… non é mai. Poi alla fine non compravo niente. I limoni, quelli si, ogni tanto li acquistavo; ed anche la menta fresca. Che bello era sfregarsela sulla cosce. Me le guardavano tutti; anche senza aroma. Perché il bello di quel periodo erano i colori accessi ed il cotone… il cotone, il latex, l’elasticizzato che ti si aggrappava alla pelle come un guanto acido. Un tripudio di capelli cotonati e mani che osavano sempre.
Sulle gambe c’era spesso l’azzurro: dei fusò, dei loro occhi. Sguardi diversi dal quel celeste montano, di nevischio. Azzurro e miele mediterraneo. Per quello li amavo, almeno un poco.
Poi entrò Parrucca. Non che si chiamasse così, ma la facilità con cui il barista appellava ogni avventore, contagiò in un attimo le mie inclinazioni sui soprannomi altrui. Un tupé nero corvino, dormiva sul capo dell’uomo goffo, dalla camicia azzurra, sbiadita dal mare o più probabilmente dal sudore. Pareva uscito da uno spettacolo dei “Legnanesi”. Nel complesso il suo movimento esplodeva spontaneo, poco articolato e simpatico. Un pinguino senza frac, nel circo di stagione.
Lavoravo in Pirelli, disse. Adesso ho settant’anni, ma prima, alla tua età, finito il lavoro in catena andavo nelle balere a Milano… a me piace in mezzo alla gente, disse.
La scopa, poi un colpo di straccio, poi uno starnuto. Eccolo che scivola nel mestiere, come i becchi di Antartide il ghiaccio.
In via Scarlatti c’era la banca. Non potevo entrarci mai. Eppure mi sarebbe piaciuto. Sarebbe stato bello, allora più di oggi. Entrare con la sicurezza di una milanese vera, che ha un conto da generazioni, che non parla molto e la rispettano tutti. Chissà se oggi mi rispettano davvero, oppure intuiscono, e tacciono. Non importa. In quella fuga stava anche la possibilità, la certezza forse, dell’opportunismo. Non volevo un galoppino qualunque, con la sigaretta all’orecchio e la camicia avvolta al bicipite sgonfio. Volevo un bel volto sincero, ingenuo. Una faccia pulita, ma solo nell’animo, magari di provincia. La trovai.
- Ehi Bob! Guarda fuori, dai, presto!
- Cosa c’è?
- Dai cavolo, mi deludi!
- Ma cosa?
- Ma dai! Quella là! Non la vedi che manza! Dai che la vedi. Avvocatessa, quarant’anni, gonnellina di jeans, sigaretta in bocca.
Era stato più preciso di un missile terra aria: coordinate perfette. Così il mio binocolo mentale da maschio mammifero alfa in età riproduttiva (aggiungo che era estate) si sposta sulla preda… e ne rimango deluso. Niente di ché: solo un bel corpo, su capelli slavati di una testa che ha visto la delusione, mentre tira e boccheggia fumo, come uno spermaceti sfiancato.
- Ma dai! Quella lì? Non vedi come tiene la sigaretta. E’ una che ne ha piene le balle di tutto!
- Eh certo! Perché tu guardi la sigaretta! Va là, va là! Va là che sei giovane e non ne capisci di donne. Dai retta a me, che di esperienza ne ho da vendere. Quella ti sfianca.
- Ma la conosci?
- No. Però passa sempre davanti alla vetrina del bar. So anche gli orari.
Quel giudicarmi troppo giovane… per un instante, da vero gorilla glabro e orgoglioso, avrei voluto snocciolargli tutte le mie avventure. Ma lasciai perdere. Lui è l’oste! E l’oste, si sa, ha più ragione del cliente: un’infallibilità, per certi aspetti, papale.
- Comunque anche quella li, dai retta, non è niente in confronto a Julia!
- E chi la conosce Julia?
Lo trovai subito. Nel night dove passavo le mie serate a miagolare, in Piazza della Repubblica. Veniva da fuori. Aveva un sorriso grande. Grandi i denti e grandi gli occhi, di un azzurro dolce. Non doveva essere molto colto… anzi, non lo era affatto, ma si capiva lontano un miglio che, per quanto volesse fare lo stallone, aveva un cuore d’oro e tanta voglia di sognare. Così mi offrì subito da bere, dopo che lo fissai. Iniziai a ridere, a stargli accanto, a fargli sentire il mio braccio, il mio fianco. A fine serata lo feci aspettare fuori, a chiusura, perché era proprio il Pony Express che stavo sognando.
- Te lo dico io chi é Julia, Bob! E’ una gran Signora, che neanche sulle riviste di moda la vedi una così. Veniva dalla Russia caro Mio! Che fianchi, che pelle, che profumo! Proprio una gran Signora. Mica come tutte queste ragazzine che vengono qua oggi al locale… eh caro mio, che tempi! Madonna mia che tempi! Poi si dava tutta lei: davanti e dietro, in bocca… non diceva mai di no! Eh che tempi! Che tempi Bob! Lei si che ci sapeva fare! Sempre elegantissima. Usava un sacco di vestitini che glieli avresti strappati a morsi! Non come mia moglie che ha sempre quella vestaglia da oratorio… Santo Dio! Eh, altro che! E pensa che di me si fidava tantissimo. Perché lei un po’ si era innamorata del sottoscritto. Non per vantarmi Bob, ma ci sapevo fare mica da ridere. Perché là in Russia sono sempre ubriachi. Allora le donne vengono in Italia, in cerca di Stalloni che le facciano stare bene, che le facciano sognare, che le facciano rifiorire!
- Non sono mai stato con una Russa Bob. O meglio, ho pasticciato con una a Palma di Maiorca.
- Si, si… ma non era come la Julia neanche quella lì! Fidati cavoli!
- Cosa ne sai?!
- Eh, lo so caro mio! Eccome se lo so, perché la Julia era imbattibile. Poi il locale…
- Che locale?
- Il locale, quello dove l’ho conosciuta, era una copertura. Perché lei era un’esperta della finanza o una spia del KGB.
- Ma cose ne sai?
E così lo feci sentire unico. Lo feci volare sul mio corpo, come un ragazzino alla sua prima volta. Mi curavo tanto e tutta, con quell’attenzione per l’intimo, il trucco ed i profumi, che solo una diva può sfoggiare. Doveva sembrargli una meraviglia: come se all’improvviso fosse caduto in una scena di un film d’amore. Un protagonista al fianco della più bella ragazza di sempre. La musica, lo champagne, il sesso ed il respiro, modulato come una regina del Cinema Hard. Di tanto in tanto lo incontravo anche fuori dall’albergo… dovevo convincerlo; doveva credere che avessi un effettivo bisogno di lui. Un amante certo, ma anche un amico, un padre, un confidente insostituibile.
- Perché lei a volte mi dava dei soldi da cambiare in banca. Dollari, Bob! Dollari! Centinaia di Dollari. Perché lei aveva i suoi giri… secondo me finanziava il PCI! Io però non le ho mai chiesto nulla. Perché noi due non ci vedevamo per i soldi. Eravamo proprio… non so come spiegarti Bob, legati da qualche cosa di più grande di noi. Poi un giorno,
Poi un giorno mi disse che sua moglie “aveva mangiato la foglia”; che aveva una famiglia, un figlio e una reputazione da brav’uomo in paese che non voleva buttare via. Io lo guardai negli occhi e gli dissi: “capisco”. Il gioco era finito. Durò tre anni. Un tempo sufficiente per far girare abbastanza denaro da mettermi in proprio, con ragazze sempre più giovani, in fuga dai disastri del mondo.
- Comunque ogni tanto ci sentiamo ancora. Ogni tanto ci confrontiamo, parliamo del mondo, mi chiede dei consigli, dei piccoli favori.
- E perché?
- Perché caro mio, vedi, nonostante l’età, ho lasciato il segno!
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un racconto di Giorgio Michelangelo Fabbrucci