La storia che vi sto per narrare probabilmente non si è ancora conclusa. Nondimeno voglio condividere con voi, miei cari lettori, alcuni dei fatti più impressionanti ed avvincenti che abbia avuto modo di vedere nella mia lunga vita.
Non so dirvi dove oggi si trovi Davide, il giovane uomo (o ragazzo se preferite) che è giunto là dove pochi altri hanno posato la propria orma. Vi basti sapere, per ora, che è nato, come molti di voi, in una grande città italiana, in una famiglia normale e che, come è giusto, ha frequentato gli studi ogni giorno. Proprio a scuola, tra un compito in classe ed una merenda, ha stretto un legame particolare con Giulia: un incantevole fanciulla dalla pelle color dell’ambra e dai capelli neri, lucidi come le ali del corvo. Questa amicizia, se così la possiamo chiamare, ha reso i due ragazzi inseparabili. Vicini di banco, compagni di studi, di giochi e di passeggiate; ma anche di piccoli baci e dolci carezze che, fino ad oggi, hanno tenuto gelosamente nascoste. Il profumo di Giulia, il suo stile nell’ indossare la maglietta e la gonna, persino il suo modo di camminare e di mordere la matita, si sono fatti strada nei pensieri e nel cuore del nostro amico; a tal punto da persuaderlo, soprattutto nella notte, che quell’affetto potesse ardere per sempre… e oltre.
La nostra storia inizia con un’infausta notizia. Non rammaricatevi: è cosa assai normale che nella vita di ognuno possa accadere qualche cosa di brutto ed inaspettato. Ciò nonostante è in forza di questa disgrazia che Davide ha scoperto dentro di sé il coraggio guerriero e la giusta nobiltà d’intenti che separano le persone comuni da cavalieri ed eroi.
E’ venerdì. Il venerdì di un mese qualsiasi, in cui le città non dormono e le persone corrono. Il cielo non promette clemenza ed i soffi del vento spazzano l’asfalto, alzando le polveri ed arrossendo gli occhi. Davide piange; non asciuga le lacrime con la manica del maglione. Lascia che scorrano, come se, fluendo, potessero strappargli dal corpo il dolore che lo ammorba. Di tanto in tanto sferra un calcio ad una lattina, ad un sacco dell’immondizia. Poi si ferma in un vicolo, appoggia le mani al muro e guarda giù.
Non è giusto – si ripete – non è possibile.
Si ricompone. Zaino su una spalla. Pesante. Cammina piegato su un fianco. La gente gli passa al fianco: chi con la cravatta; chi sporco ed ubriaco. Si sente un fantasma travolto da un tram: invisibile e schiacciato. Scende in metropolitana. Le luci dei tunnel diventano flash, oppure scatti fotografici del suo starle accanto: Giulia che gli passa un bigliettino durante la verifica; Giulia che oggi ha messo gli stivali e sembra un elfo; Giulia che ha paura al cinema, che mangia un panino, che soffia su un fiore, che si toglie il maglione.
Ti posso dare una mano ragazzo? – chiede preoccupato un anziano signore.
Non penso possa fare nulla. Comunque grazie. Io sto abbastanza bene – risponde Davide, mentre si toglie una cuffia dall’orecchio.
L’uomo ha ciabatte di plastica e jeans arrotolati fino ai polpacci. Un pullover a maglie larghe ed un berretto schiacciato sulla fronte, gli regalano un aspetto da lupo di mare, o più probabilmente da operaio di porto. Tiene una pipa spenta nella mano destra e grattandosi la barba ingiallita, ricorda al ragazzo di essere audace. Poi scende. Sparisce con le sue rughe nel gorgo di uomini e di passi sudati.
Non sa cosa dirà ai genitori. Si sente quasi in colpa, anche se non ha avuto alcun ruolo in questa disgrazia. L’ascensore sale e Davide ha modo di guardare la sua anima per qualche secondo ancora: ferita, presa a cazzotti nello stomaco. Tutto può crollare da un momento all’altro – riflette insieme allo specchio appannato – come da un attentato, come da un terremoto. Siamo tutti vittime. Colpiti alle spalle. Destino.
Sua madre apre la porta. Si chiama Aurelia, ma l’ha sempre chiamata mamma. Lo abbraccia in lacrime. Lui rimane con le braccia a penzoloni, stese sui fianchi, come un soldato di porcellana. Poi sente il tepore, l’affetto sincero e le lacrime ritornano, come uno tsunami in primavera.
Mi hanno chiamato i suoi genitori. Mi hanno spiegato tutto. Mi spiace tanto cucciolo. Devi essere forte. Noi ti vogliamo tanto bene. Noi siamo qui. Ricordatelo.
Non risponde. Non ce n’è bisogno. Le parole della madre sono sincere, ma la situazione non cambia. Si fa trascinare in quella dolcissima stretta. Si aggrappa al corpo materno, ma non alla speranza, che forse è uscita ad ubriacarsi.
Si avvicina Mario, suo padre. E’ ancora elegante. E’ appena tornato dal lavoro. Gli appoggia una mano sulla spalla. Stringe che quasi fa male.
Ho chiamato in ospedale. Dicono che la situazione è stabile. Tra qualche giorno potremo andare a trovarla. Nel frattempo ricordati che in questi casi non si può essere certi di nulla. Anzi, ti dico di più. Per quel poco che la conosco è abbastanza forte e coraggiosa… che ce la farà. Ce la farà di certo. Hai capito Dave?
Un piccolo cenno del capo dona al padre la conferma che abbia capito. Ciò nonostante, dentro di lui Miss. Paura sta avendo la meglio.
Passa il pomeriggio tra musica e dormiveglia. Arriva l’ora di cena, anticipata dai bisbigli dei genitori, chiusi in cucina. Sembra parlino di parenti e case, di ciò che sia meglio, di quel che è giusto fare o non fare. Davide apre la porta. Si interrompono.
Di cosa stavate parlando? – chiede loro con fermezza
Dave, io e mamma pensiamo sia bene che ti prenda qualche giorno di vacanza. Sappiamo quanto sia unico il legame tra te e Giulia… insomma, fino a settimana prossima, forse potresti andare a trovare la nonna in riviera. E’ da tanto che non la vedi e magari per qualche giorno starai tranquillo. Tanto capiamo bene, sia io che la mamma, che in questi giorni non avrai la forza e la mente per studiare. Forse ti conviene cambiare aria, distrarti.
Dalla nonna non ho molto da fare.
Si, è vero. Però puoi leggerti un libro, scrivere, sfogarti. Poi la nonna non si lamenterà di certo se tieni la musica troppo alta.
Ok. Va bene. Ci vado. Tanto non cambia niente.
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il romanzo d’appendice “La Città dei Sogni” continua domenica prossima…
scritto da Giorgio Michelangelo Fabbrucci
28 agosto 2011
Bell’incipit. Attendiamo la prossima puntata