Sento un rumore, un suono. Come un orologio senza lancette, risacca dell’oceano. Continuo, inebetito. E poi la luce, quella luce, in fondo. Alla fine di tutto questo. Voglio partire, ne ho bisogno. Voglio diventare una sconosciuta, straniera a tutto. Tutti.
La mia bocca vorrebbe parlare, baciare, ammutolire in questo fango di cristallo che impone silenzio. A me. Alla banalità della mia vita.
Le statue non si muovono. me l’hanno insegnato molti anni fa. A scuola. Non ne capivo il senso. Nel tempo in cui tutto era possibile. Nel tempo in cui prima di domandarsi perché ci si chiedeva: perché no? Ora lo so. Ora che sono diventata cera. Indurita dal mio stesso animo. Dalle viscere più profonde di quella che avrebbe dovuto essere linfa vitale. Trasformata in nulla. Che non riesco a trasmutare in morte.
Credo profondamente di non credere in nulla. Ed è già tanto. Guardo la strada attraverso il vetro di questa finestra. Sporco, mai lavato. Le imposte polverose, di legno marcio. Le foglie secche sono cadute tutte e nessuno le ha raccolte. Rimangono lì, alla mia vista. Marciscono lentamente, divorate dalle lumache, dagli insetti, dalla terra. Rinasceranno linfa, humus per gli alberi, quei platani laggiù. Piantati nel terreno, saldamente, con le loro radici scure.
Non potrò nemmeno essere come loro. Io, condannata come donna in un corpo maschile. Mi domando come mai lui mi abbia fatto così. Quanti giorni ho passato a urlargli il mio sesso mentre mi modellava? Giorni in cui cercavo ancora di parlargli, di parlarmi, di parlare. Sordo, ingenuo e egoista continuava imperterrito il suo lavoro.
Vorrei, vorrei. Vorrei indossare una maschera e sfilare davanti a voi senza paura di essere giudicata dalla vostra indifferenza. Vorrei stupirvi, buttarvi in faccia la mia passione. Ma me ne sto qui, nascosta tra le pieghe di questi fogli, ascolto Massive Attack, Sly. Sogno, come una sostanza liquida che cola tra le mie gambe mentre.
la realtà bussa ogni giorno più violentemente alla mia porta. Non posso continuare a non sentirla. Preme. Freme. Mi illudo frequentemente che quel che si scoglie non sia cera. Ma so già che è cosi. La luce che riflette quella sporca finestra lo scioglie sempre. Lui rientra a casa, me lo guarda. Lo riaggiusta. Poi si masturba. Vorrei piangere ma non posso.
Cerco di comprendere cosa sento in questo tempo strano. Renderebbe la mia vita più facile. Ogni cosa traspare, si trasfigura, non sono più in grado di capire cosa è reale. Voci, facce, di più. Ogni cosa, sempre di più. Immagino di lasciarmi il mare dietro le spalle verso la mia casa che non esiste più. Come se fossero passati anni sopra anni mentre in questa musica continua vi sono campane squillanti. Di più, sempre di più.
Continuerò a chiamare anche se nessuno ascolta. Continuerò a piangere anche se nessuno vede. Continuerò a restare mentre vorrei scappare.
Immagino.
___
un racconto di Viola Moreno
2 luglio 2011
Racconto vibrante. In poche righe un profilo psicologico pieno e potente. Mi piace moltissimo!