Nel bel mezzo di questa torrida calura estiva, mentre vago per librerie alla ricerca di qualcosa che allieti il fine settimana, la mia attenzione viene catturata dall’ultimo romanzo del grande Joe Lansdale: l’idea di smascellarmi dalle risate leggendo qualche nuova (dis)avventura dei mitici investigatori Hap e Leonard mi alletta non poco ma, appena comprato il libro, capisco che l’argomento trattato non sarà poi così leggero ed evasivo.
In copertina è ritratto un bambino di otto – nove anni, solitario ed indifeso all’interno di un paesaggio spettrale, mentre cerca di proteggersi da una bufera: intorno a lui vi sono soltanto una malferma catapecchia di legno ed un’infinita distesa di sabbia che, aprendosi a perdita d’occhio, arriva a confondersi con i colori del cielo.
Il titolo, del resto, non lascia scampo: “Cielo di sabbia”, appunto.
I protagonisti di questo nuovo romanzo sono tre ragazzi appena adolescenti, Jack, voce narrante, Jane e Tony che, dopo aver perso le rispettive famiglie, fuggono dalle avverse condizioni climatiche dell’Oklahoma per raggiungere il Texas orientale, nella speranza di un futuro migliore.
La vicenda, ambientata nel periodo della Grande Depressione americana del 1929, si staglia in tutta la sua tragicità fin dalle prime battute: Jack ha appena perso la madre per colpa della “peste nera”, morte per soffocamento dovuto alle continue bufere di sabbia, rinvenendo subito dopo il cadavere del padre, ancora caldo, impiccatosi ad una trave per l’insostenibile dolore dovuto alla perdita della moglie. Parimenti Jane e Tony, già abbandonati dalla madre anni prima (fuggita con un venditore di Bibbie!), hanno appena perso il padre, schiacciato dal proprio trattore mentre cercava di arare un terreno ormai sterile.
Quest’impatto piuttosto forte, per quanto modulato dall’innata vis comica di Lansdale, che consente al lettore di “digerire” anche gli eventi più drammatici, permette di individuare con facilità il leit motiv del romanzo: la speranza di un futuro migliore passa necessariamente attraverso un cammino di sofferenza, caratterizzato dalla perenne contrapposizione tra Bene e Male, e dall’assoluto dominio degli elementi.
È significativo notare che questo percorso iniziatico, finalizzato alla salvezza di se stessi e ad una maggiore consapevolezza circa il senso della vita, comincia grazie alla spinta involontaria di due personaggi che hanno già compiuto la propria scelta esistenziale, pur se in direzione diametralmente opposta: il padre di Jack ed il vecchio Otto Turpin. Come visto, il romanzo si apre con la morte dei genitori del narratore, il cui padre si è impiccato lasciando al figlio il semplice messaggio “non ce la faccio con tua mamma morta ti voglio bene e mi dispiace” mentre il vecchio Turpin, proprietario della Ford su cui i tre ragazzi inizieranno il loro viaggio, disperato per le terribili bufere di sabbia ed esasperato dal profondo nulla che circonda la propria abitazione (e la propria vita), si era piazzato in veranda “per farsi sistemare dalla polvere”. Paradossalmente, la volontaria rinuncia alla vita di queste due comparse fornisce ai protagonisti l’incipit di un percorso inteso alla salvaguardia ed al miglioramento della propria esistenza.
Nella perenne contrapposizione fra Bene e Male, Jack, Jane e Tony si imbattono in un variegato campionario di personaggi, la cui indole è chiaramente riconducibile ad uno questi principi universali: con lo stile espressivo di cui Lansdale è maestro, talvolta capita che l’Autore si diverta a confondere le acque facendo assumere al Bene le sembianze del Male, e viceversa. In tal senso, significativi risultano i personaggi di Pretty Boy Floyd, rapinatore ed assassino dell’epoca, realmente esistito, il cui aiuto si rivelerà prezioso per i tre ragazzi, e di Big Bill Brady, sceriffo con l’hobby della riduzione in schiavitù dei poveri malcapitati.
Nel corso di questo lungo viaggio, il cui risvolto metaforico è espresso con chiarezza da Jack (“su quei volti c’era scritto di bambini morti e di fattorie spazzate via e di sogni ormai sepolti; gente che, proprio come noi, non sapeva bene dove andare. C’era solo l’impulso di tagliare la corda nella speranza che esistesse qualcosa oltre a ciò che si vedeva dal parabrezza”) il libero arbitrio dei protagonisti risulta condizionato non solo dai personaggi che incontreranno via via lungo il percorso, ma anche dagli elementi della natura che, nella violenza del proprio manifestarsi (siano essi condizioni climatiche avverse o esseri animali), assumeranno la veste di arbitri inappellabili del loro destino. Ad esempio, l’improvviso arrivo di uno sciame di cavallette, indice inequivocabile di un’imminente bufera di sabbia, a seconda delle situazioni si rivelerà un inquietante messaggio di morte (ad esempio per i genitori dei protagonisti), oppure un’inattesa àncora di salvezza (come nel caso dell’improvvisa possibilità di fuga da Big Tiger e Timmy Durango, pericolosi criminali).
Nel complesso, la perenne contrapposizione tra Bene e Male e l’insindacabile volere delle forze della natura condizionano non poco il libero arbitrio dei protagonisti, ma non può negarsi che la volontà dei protagonisti cresca con l’incedere della vicenda, si sviluppi e si cristallizzi all’interno di un costante processo di maturazione.
Il percorso compiuto da Jack, Jane e Tony, pur univoco nel suo significato simbolico, assume tuttavia sfumature diverse a seconda del carattere dei singoli protagonisti: Jane è uno spirito libero ed avventuriero, amante dei buoni libri e pervasa dal desiderio di scrivere ciò che un viaggio più grande, chiamato vita, mostra ai suoi occhi vigili e indagatori; Tony, suo fratello minore, poco incline all’avventura e complessivamente spaventato dalla potenza delle avversità, conclude il suo percorso facendosi adottare dalla vedova Carson, trovando quel calore e quella dolcezza domestica fin lì sconosciute. Jack Catcher, il narratore, in virtù di tale ruolo rappresenta l’equilibrata via di mezzo tra i due fratelli: spirito avventuriero ma in misura minore di Jane, è maggiormente riflessivo rispetto alla ragazza, più attento ai dettagli ed alle sfumature della realtà per quanto, inevitabilmente, meno dotato sul piano del talento. Il narratore perfetto, insomma.
Questo breve romanzo di Lansdale non può essere letto se non tutto d’un fiato: il lettore si trova proiettato in Oklahoma, nella Ford del vecchio Turpin, e da quel momento segue le avventure dei tre ragazzi come se le stesse vivendo in prima persona. Merito della prosa di quel geniale scrittore che è Lansdale: descrivere situazioni forti ed intense temperandole con una prosa all’apparenza semplice, in verità ironica ed a tratti comica nel suo crudo realismo, capace di trascinare con la sua potenza espressiva dentro il racconto, su una strada sabbiosa, qualche dollaro in tasca ed innumerevoli sogni da conquistare.
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una recensione di Marco LaTerra
26 luglio 2011
Una bellissima recensione, molto attenta, molto meditata sul testo. Solo che non ho ben colto l’anima del romanzo. Cosa resta, al lettore, dopo averlo letto?
26 luglio 2011
A mio modesto avviso la consapevolezza che, anche nelle avversità più nere e disperate, esiste sempre una via di fuga, dentro se stessi. Jack, che a naso non avrà più di quindici anni, vedendo il cadavere del padre ancora caldo, suicida per disperazione, pensa a chiare lettere: “Non farò mai come lui”. Esiste sempre una soluzione, anche contro l’inevitabilità della morte: il viaggio, l’esperienza, la conoscenza di sè attraverso la costante interazione col mondo. Le regole sono queste, belle o brutte che siano: dentro o fuori.
26 luglio 2011
PS: Grazie davvero per l’apprezzamento. Al di là della saga di Hap e Leonard, Lansdale sa ancora dire la sua in merito ai temi più rilevanti della propria letteratura “canonica”, col suo impareggiabile stile. Un romanzo leggero che consente alla mente di evadere verso luoghi lontani, trasmettendo al contempo messaggi importanti.
26 luglio 2011
Grazie mille per la risposta! Leggerò il romanzo e ci confronteremo. Saluti