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Un dibattito sul postmoderno è necessario.

il lettore sta diventando sovrano e unico in grado di sancire la bontà di un testo

Che sia necessario far chiarezza sul postmoderno: nascita, storia, evoluzione, genealogia (genialogia, leggevo in qualche post tempo fa) è innegabile. È altrettanto necessario, ci tengo a ribadirlo, impostarlo in maniera totalmente antiaccademica, per evitare di snaturare, con la forma della riflessione, i contenuti totalmente anticonvenzionali di tutti i racconti e romanzi postmoderni (e delle forme miste di fiction-non fiction tanto care ai famosi, famigerati e idolatrati autori contemporanei).

Uno dei modi in cui gli scrittori accomunati sotto l’etichetta postmoderna vengono classificati e trattati  è indubbiamente quello tipico degli anni Zero (e di lì in poi, fino a questi anni ’10 di fusion, rimescolamenti e confusioni), e cioè la canonizzazione cosiddetta ‘dal basso’. Il critico borioso e convinto dell’insindacabilità del proprio giudizio è una figura che cade progressivamente nell’oblio in cui merita di stare: il lettore sta diventando sovrano e unico in grado di sancire la bontà di un testo. Le comunità virtuali innalzano altari a David Foster Wallace e con sincera commozione ne commemorano il ricordo, considerando la sua perdita al pari di quella di un familiare, di un caro amico, di un appartenente alla stringata decina di persone con cui la loro anima è entrata in sintonia: attraverso un libro, sì, ma molto più così che in centinaia di conversazioni futili intrattenute con persone che il caso ha posto a nostri vicini di casa o in classe con noi, in lunghi anni in cui non ci hanno fatto crescere né maturare con un solo pensiero interessante scambiato a margine delle lezioni – anche quelle, di stampo accademico, inutilmente fredde e pontificanti.

Stilare categorie è umano ed è diritto del lettore; giustificare la graduatoria circostanziando il giudizio è dovere morale di chi voglia imbastire una discussione sulla controversa corrente letteraria postmoderna.

Da lettrice ritengo immorale parlare, a proposito di Infinite jest,  «magia dell’incomprensibile» e giudicarne seicento pagine «del tutto inutili al racconto». Da lettrice ho cordialmente detestato V., ho trovato interessante Rumore bianco solo a tratti, ho apprezzato solo alcuni dei racconti di Barthelme, sono stata colpita piacevolmente dall’Opera galleggiante. De gustibus.

Ma il mio contributo a un dibattito sul postmoderno non può basarsi sull’irreversibile innamoramento per Wallace e su una divergenza di vedute narrative con Pynchon (peraltro relativa a un solo romanzo, sicché il mio giudizio è ancora in sospeso sull’autore nella sua totalità). Non può nonostante, in quanto lettrice, come tutti i lettori ho il potere e il sacrosanto diritto di scegliere a quale canonizzazione dal basso aderire. Dunque sottolineo che il mio discorso a partire dalle riflessioni su Lyotard tentava di individuare delle caratteristiche comuni ai testi postmoderni: è un punto di partenza per districarsi nella selva delle pubblicazioni considerate parte di questa corrente letteraria. La presenza di elenchi, la debolezza autoriale, la preponderanza dell’io del narratore (che nasconde e svela quello dello scrittore), il gioco metanarrativo, l’uso consapevole e ironico del paratesto, la paranoia. Queste sono le coordinate da cui partire, e per questo io svolgevo le mie riflessioni a margine di Lyotard: ché l’analisi del contesto storico-culturale è impresa da non liquidare con una semplic(istica) carrellata di precedenti europei e il rifiuto della relazione fra postmoderno letterario e sviluppo industriale. Solo coordinate si possono definire in un dibattito nato dalle passioni dei lettori e solo con un lavoro di ricerca più serio (non serioso, per carità!) si può giungere a circoscrivere un fenomeno (e mai lo sarà, circoscritto, se non forzatamente e con qualche arrotondamento: ché tutto ha radici e ramificazioni in tutto il resto, ma quindi? Si dovrebbe rinnegare il dèmone tassonomico?).

L’alieno Arcieri suggerisce l’800 europeo come antecedente al postmoderno di fine Novecento: e perché non il barocco seicentesco? Perché non quello ovidiano, che tanto sottolineava il modo in cui la realtà si somigliasse all’arte? Tutto è storia dell’umanità, ma tracciare un confine e poi, da quello, dei ponti, potrebbe essere utile. Anche io, nel mio lavoro di tesi, leggevo Wallace alla luce di Calvino, per poi scoprire che Barth, maestro di Wallace, era del nostro connazionale ligure devoto lettore, ma prima definiamo il nostro àmbito di interesse. Io dico: postmoderno statunitense dal Novecento in poi. Analisi degli autori e, di lì, analisi delle influenze. Ma, per una volta, parliamo del contenuto dei libri, almeno all’inizio.

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Carlotta Susca

 

Author: Alieni Metropolitani

Gli Alieni Metropolitani non cercano soluzioni. A volte ne trovano… é irrilevante. Appartengono alla Società e con sguardo consapevole ne colgono l’inconsistenza. Non sono accomunati da ideologia, religione o stile di vita ma da una medesima percezione del mondo. Accettano i riti della vita, riuscendone a provare imbarazzo. Scrivere! Una reazione creativa alla sterile inconsistenza del mondo.

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1 Comment

  1. Concordo. Ma, quali sono precisamente le radici del Postmodernismo?
    Leggevo in un libro tempo fa che, anzitutto, sarebbe necessario fare una distinzione dei termini Postmodernità e Postmodernismo. Il primo termine secondo l’autrice, abbraccerebbe difatti un concetto socio-politico-economico, mentre il secondo si riferisce in particolare alla Letteratura, la quale naturalmente si trova inserita nel primo. Concordi?

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