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Ringraziando il Signore

un racconto di Marco LaTerra

Finalmente mi sono dato una mossa.

Il Vostro Affezionatissimo ha deciso di scrostarsi la ruggine di insofferenza lunga mesi e ha rotto le catene.

Con clangore. Fermezza. Risoluzione.

“Ho deciso di interrompere il nostro rapporto di collaborazione professionale a decorrere dal prossimo primo aprile”.

Un calcio nei coglioni, ammesso che di essi sia mai stata rinvenuta l’esistenza, sarebbe stato più morbido: non esistono contratti scritti, in certi ambienti.

Si lavora per un capo, sapendo di essere tenuti per le palle (io, modestia a parte, ne ho a quintali), entro un sistema imperniato sullo sfruttamento: oggi lavori per me, anche domani se non mi alzo con un umore di merda, se mia moglie ha fatto la troia, come piace a me, sotto le lenzuola, se mio figlio ha preso “ottimo” nell’interrogazione sui derivati del carbone.

I derivati del carbone: lignite, litantrace ed antracite.

E torba.

La merda, appunto.

Ma perché questa decisione così scellerata, vi starete domandando? Ammesso che ve ne freghi qualcosa s’intende, pur se, nell’eventualità opposta, sappiate che non me ne importa veramente nulla di voi e della vostra irriguardosa indifferenza.

Coraggio non prendetevela, assecondate questa mia infantile verbosità e lasciatemi raccontare cosa mi è capitato oggi.

Sapete che vi adoro.

So che non mi riconoscete più, e so di essere di un’esuberanza quasi molesta, in questa mia breve dissertazione.

Vi chiedo scusa per la mia irruenza, ma il colpo d’ala da me compiuto quest’oggi mi riempie di entusiasmo, ripagandomi di tante amarezze passate.

Ripagandomi di parecchie cose, nonostante le incertezze di un futuro intriso di incognite.

Come le vostre mirabolanti intelligenze avranno già capito, oggi mi sono licenziato.

Sono quattro mesi che mi arrovellavo il cardine su questa eventualità e quest’oggi, finalmente, svegliandomi e stiracchiandomi nel tepore delle mie lenzuola, mi sono detto “QUEL giorno è arrivato. Oggi si taglia il cordone ombelicale con ciò che non ha senso. Con ciò che mi rende infelice”.

Il mio capo.

Nel descrivervelo, purtroppo, mi devo conformare ai classici luoghi comuni: del resto, se la sua conformazione caratteriologica appartiene al fenotipo “capo stronzamente standard”, io non ci posso fare nulla.

Arrangatevi.

Vi amo, lo sapete.

Dicevamo: il mio capo.

Un esaltato ammalato di lavoro, millantatore di falsità ed imbevuto di inveterato bigottismo, quindi privo della benché minima etica comportamentale nel quotidiano.

Non parliamo dello spirito di autocritica. Roba per menti superiori.

La conversazione che ho avuto con lui quest’oggi (la terza in quattordici mesi) è stata surreale: a parte volersi impicciare dei fatti miei in merito alle ragioni sottese a questa mia improvvida scelta (pentiti pecorella smarrita!) ed ai motivi di difficoltà da me EVENTUALMENTE incontrati sul posto di lavoro (mah… chissà…), ogni sua affermazione era sempre preceduta da un cantilenante e vagamente apocalittico “ringraziando il Signore”.

Visto che i ringraziamenti si sono profusi per una buona mezz’ora, direi che Vostro Signore ha avuto tutto il tempo per ratificare le mie dimissioni su una pergamena color avorio, lassù nell’alto dei cieli.

Se così vi piace credere, credetelo pure.

Quand’anche esista un dio, non so perché, ora come ora, me lo immagino stufo marcio di essere ringraziato di default, così, gratuitamente, senza aver fatto nulla per meritarselo.

Insomma, già i ringraziamenti mi indispongono, se poi vengono fatti come mera clausola di stile mi risultano addirittura odiosi. Senza alcun dubbio ipocriti.

Ehi, ma io non sono Lui, stupido che sono!

Magari, dopotutto, a Lui piacciono.

Comunque, non sviatemi con l’indurmi a queste riflessioni blasfeme.

Dicevamo.

Dimissioni.

È ovvio che, per motivi di privacy, io non possa svelarvi il nome del mio datore di lavoro, che a questo punto, stante il suo prurignoso eczema religioso, non dissimile da quello che albergava nello spirito degli antichi cavalieri crociati, chiamerei il “Cavaliere”, scusandomi sin d’ora per la palese ambiguità di questa mia scelta. Tanto meno posso rivelarvi la professione svolta da costui, e di riflesso dal Vostro Affezionatissimo: vorreste forse la mia rovina, con una bella denuncia per ingiurie, diffamazione o quant’altro? Il baratro dell’inferno e dell’efficientissima giustizia italiana. Quale orrore!

Dicevamo.

È stato orgasmico esternare al Cavaliere i motivi della mia insoddisfazione legati all’aspetto dell’incompatibilità ambientale, ovvero l’essere capitato in un lager legalizzato in cui tutto è dovuto, straordinari compresi, e dove lo straordinario diventa ordinario, dopo poco tempo, nell’attesa di ulteriori straordinari. Sempre dovuti.

Perché LUI ha una famiglia da mantenere.

Perché LUI deve pagare tutti i suoi collaboratori a fine mese, e LUI è tra i pochi professionisti che pagano con regolarità. È una persona seria LUI.

E prega tutte le mattine. LUI.

Quindi non è geneticamente stronzo, il Cavaliere: è soltanto traviato dagli obblighi che la vita gli impone, lavorativi e familiari.

Io non posso capire questo suo modo di porsi perché, oltre ad essere un’anima cieca e dannata, non sono accessoriato con moglie e figli al seguito né, tanto meno, con sottoposti da mantenere.

Ma capirò un giorno, quando sarò più assennato.

Oh, se capirò!

Mi alzerò tutte le mattine alle cinque, ringraziando il Signore, e lavorerò come un somaro per mantenere moglie e figli.

Tirando le fila del discorso: lui non è geneticamente stronzo.

Lo ha fottuto la famiglia, all’evidenza.

Anche mio padre si alzava (e si alza tutt’ora) all’alba per andare a lavorare (SENZA ringraziare il Signore, fortunatamente), per mantenere me, mia madre e mia sorella. Sono quarant’anni che non fa altro, ha sempre svolto il proprio lavoro con passione, abnegazione e rispetto per il prossimo, senza prevaricare nessuno.

Sempre cordiale e gentile verso tutti.

Un ateo denso di etica, contro un sedicente cattolico imbottito di egocentrismo.

Succede.

La famiglia fotte, così recita il Verbo del sedicente cattolico.

La famiglia travia.

La famiglia rovina.

Non è la sfrenata e patologica ambizione a rovinare. Non è la sete di potere. Non è la smodata avidità.

È la famiglia che fotte.

E i collaboratori.

E in mezzo a tutto questo mare magnum di oneri, incombenze, necessità, c’è lui, il Cavaliere crociato dei tempi moderni, che per condurre la sua umile imbarcazione attraverso i perigliosi flutti della vita, è costretto a snaturarsi, calpestando sentimenti, emozioni ed umanità.

Ringraziando il Signore.

Questo recita il Verbo del sedicente cattolico.

Oggi, finalmente, sono riuscito a dissociarmi da questa logica perversa, ed ho deciso di impegnarmi per plasmare il mio sordo dissenso in qualcosa di costruttivo.

Vittoria o sconfitta, sarò l’unico artefice del mio destino e, in ogni caso, quando la sera abbraccerò mia moglie ed i miei bambini, loro vedranno in me lo specchio di una coscienza pulita.

Senza deviazioni.

Senza crociate combattute in nome dell’ambizione.

Senza ringraziamenti stereotipati.

Al Cavaliere crociato dico solo: coscienza si scrive con la “i”.

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Author: Marco La Terra

Marco La Terra, classe 1977, vive il senso di alienità dell’epoca infausta in cui è recluso in modo viscerale e sofferente, cercando di rintracciare in tutto ciò che è “altro da sé” una forma spuria di logica superiore.

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