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MAGIA

La chiave è dorata, luminosa. Musica paradisiaca, senso di calore, appartenenza. Casa. La scacchiera sul pavimento, color del mosto ed avorio, rievoca tutte le emozioni delle partite a scacchi durante il corso pomeridiano alle scuole medie. Il cortile, di cemento in centro ed ai lati in ghiaia. I saggi ed anziani tigli lo proteggono con le loro fronde, che presentano sfumature dal verde speranza al verde bottiglietta di vetro della lemon soda. La pallina da tennis, gialla, corre veloce. Rimbalza, come in un grande flipper, che ha per vetro il cielo terso di primavera. Le due salite per disabili si guardano, come contemplandosi ad uno specchio, dai lati opposti dell’improvvisato campo da calcio. Tutto è un campo da calcio a quell’età. Nel cielo, striature viola acceso, tratti nevrotici e disordinati di evidenziatore, volteggiano in tre dimensioni, anzi quattro. Anche il tempo gioca in questa tela cerebrale. Sgretolandosi, le pareti della scuola media statale lasciano il posto ad un dedalo di vicoli. Rete, fitta, che non lascia scampo. Una fantastica biga, trainata da un infuocato teschio, sfreccia come un’automobile impazzita in autostrada il sabato sera. Nessuna regola per questa creatura del demonio. Nella mano, la chiave dorata ha lasciato posto ad un carbone ardente. Non c’è stato nessun rituale. Non un’evocazione satanica. Sui pilastri di cemento, il pentacolo è stato disegnato solamente per gioco. Il sangue non ha bagnato lame ricurve, ascoltando antichi versetti in latino od in altre lingue dell’occulto. Urla di donne riempiono le orecchie. Non sono suoni di paura o terrore, ma di gioia. L’avvolgente profumo dello zucchero filato scalda il cuore. Il rosa soffice che lo contraddistingue si riflette sulle pareti dei grigi palazzi anni settanta, che sostano, stanchi, intorno alla grande aiuola curata dallo sponsor di turno. Il pungiball soffre. Violentato da centinaia di nocche che trasudano adrenalina. Cavalieri erranti sconfiggono draghi manovrando armi plastiche da dieci centimetri, con due o tre tasti per sparare, saltare e lanciare incantesimi. Le luci accecano, da tanto sono forti. L’atmosfera panna e fragola dell’esterno viene assorbita da una coltre di fumo. Spessa come la nebbia palustre vicino al tetro castello di Lothet, il necromante di Foresta Antica. La gola è secca, mi disseto. Bevanda paradisiaca, fonte di ristoro. Radici che affondano nella leggenda. Nettare egizio, medicina dei popoli cecoslovacchi, in periodi di peste. Leggera gradazione alcolica per gli yankee stelle e strisce, nera colorazione per gli irlandesi. Tutto l’universo ce la invidia. Dagli abitanti del pianeta Marte, alla galassia specchio del piano astrale, fino a giungere ai cittadini dei piani esterni. Ragnatela sgargiante a bloccare le mani, Shelob non è qui. Nemmeno l’uomo ragno. Dev’essere qualcosa, o qualcuno, che vuole tenermi in questa dimensione. Non cedo. La pressione aumenta sui pedali della bicicletta. Fedele destriero. Silenziosa ed impavida compagna sull’asfalto, cigolante e titubante sulle sterrate viuzze di campagna. Battle cat e Cringer allo stesso tempo. Supereroe insomma. Da Spiderman a Superman, per passare da Batman ed arrivare ai puffi. Mi volto, quasi spaventato. Le ruote della mia battle bike hanno quasi investito una piccola creatura blu, alta venti centimetri o poco più, mentre sta raccogliendo delle puf-bacche, gustosissime. Dopo essersi ripresa dallo spavento, mi invita a pranzo, al villaggio. Quanti funghi colorati, quanti alberi. Da dietro un tronco nodoso spuntano un grande naso adunco ed uno squarcio di nero vestito. Non immagino come abbia fatto ad arrivare fino a qui, a scoprire l’esatta ubicazione del segreto rifugio puffesco. Mi getto contro di lui, lo colpisco, scappo. Dietro di me urla di esultanza selvaggia. Si avvicinano al corpo privo di sensi con dei piccoli, ma affilatissimi coltelli e…Continuo a correre senza voltarmi, primo, per non trasformarmi in una statua di sale. Ho qualche ricordo vago di qualcuno che mentre scappava si è voltato a guardare e puff, fatto. Cloruro di sodio. Secondo, non voglio rovinare la poetica e dolce immagine che, nella mia mente, ho dei puffi. Compagni di merende e storie fantastiche, via tubo catodico e pubblicazioni cartacee. Abbandono la bicicletta, legandola ad un portabiciclette. Le buone abitudini sono dure a morire, quasi come Bruce Willis. Mi siedo sulla panchina. Ascolto i colori che mi circondano. Guardo attentamente i suoni della strada, che scorre come un fiume a poca distanza da me. La quarta dimensione lentamente svanisce. I balzi temporali si bloccano. Le mie mani sono ancora attaccate ai miei polsi, guidate dalle sinapsi che scaturiscono dalla ragione. Provo. Testo le mie funzionalità, come un antivirus su un pentium I. Lentamente. Indice, medio, anulare. Tutte le dita si muovono. Penso. Il mio cervello segue gli stimoli da me inviati e non il contrario. Ci siamo quasi. Ad un tratto una sensazione di vuoto nello stomaco. Come…Mi spiace, ma non lo riesco a spiegare. Mi alzo dalla panchina, salto in sella, mi sistemo un attimo e mi dirigo al Mc Donald a mangiare un pasto chimico che sedi questo lacerante appetito. Tutto è magia nella mia vita. Soprattutto da quando ho riscoperto una nuova formula magica.

(6aR,9R)-N,N-dietil-7-metil-4,6,6a,7,8,9-esaidroindol-[4,3-fg]chinolina-9-carbossammide.

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un racconto di Mattia Colombo

Author: Alieni Metropolitani

Gli Alieni Metropolitani non cercano soluzioni. A volte ne trovano… é irrilevante. Appartengono alla Società e con sguardo consapevole ne colgono l’inconsistenza. Non sono accomunati da ideologia, religione o stile di vita ma da una medesima percezione del mondo. Accettano i riti della vita, riuscendone a provare imbarazzo. Scrivere! Una reazione creativa alla sterile inconsistenza del mondo.

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