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Against the Day: Il romanzo estremo di Thomas Pynchon

Quando Against the Day è uscito in patria, negli Stati Uniti, nel 2006, dopo anni che si aspettava un nuovo romanzo dell’ elusivo, misterioso, immateriale Thomas Pynchon, Michiko Kakutani, la tagliente signora che ricopre il ruolo di critico letterario del New York Times, scrisse che il nuovo libro dell’ ammiratissimo scrittore di culto «sembra l’ imitazione di un romanzo di Pynchon scritta da un suo accanito quanto grossolano fan sotto l’ effetto di qualche stupefacente». Dalla sua, Richard Lacayo, critico di Time magazine, ha paragonato il libro (nella versione americana di 1085 pagine) al suo tostapane, un chilo e mezzo, concedendo però che Against the Day garantiva piaceri che il tostapane non poteva garantire. Tom Le Clair, di Bookforum, prevedeva cupamente che solo i pynchoniti di stretta osservanza sarebbero arrivati alla fine del libro (ma si augurava di sbagliarsi). E la critica in genere è stata perplessa, salvo alcune punte di ammirazione e alcune contropunte di totale derisione. Il senso generale era che quel che è troppo è troppo. E Against the Day era un eccesso: di dimensioni, di personaggi, di intrecci, di storie, di sfoggio di sapienza, di stile. Ora che il libro arriva da noi, nella eccellente traduzione di Massimo Bocchiola, che deve aver faticato come un pazzo su quelle che sono diventate 1127 pagine – e, ho controllato, 1800 grammi nella edizione in brossura inviata ai giornali – “Contro il giorno” ( Rizzoli, euro 32) si dispiega anche davanti al lettore italiano in tutto il suo eccesso: ammirevole ma terrificante, lutulento e a tratti molto divertente, verboso e pieno di storie, folle e generoso, ma in definitiva troppo denso, complesso e, se esiste la parola, “gigantistico”, per conquistare e bloccare agevolmente nella sua intera dimensione l’ attenzione del lettore ( comune e professionale, se è per questo). Quasi quarant’ anni dopo che, nel 1973, L’ arcobaleno della vanità vinceva il National Book Award, e nel firmamento letterario americano si installava un’ altra stella – stella misteriosa, elusiva, che non si faceva e non si fa vedere, intervistare, fotografare, decisa a condividere con Salinger una qualità che la moderna società della cultura non conosce, l’ invisibilità, così ferma nella sua posizione da concedersi solo due apparizioni pubbliche, con in testa un sacchetto di carta, in due trasmissioni dei Simpson, ulteriore gesto scherzoso di sberleffo o di autodifesa. L’ autore di V., L’ incanto del lotto 49, Vineland, Mason & Dixon, perfettamente in linea con la sua scrittura, ma dilatando le dimensioni e le complicazioni della sua fantasia in misura esponenziale, propone un libro che si incastra a misura nella Storia come Pynchon è andato raccontandocela, qui nel fondamentale arco che va dalla fine dell’ Ottocento ai postumi della prima guerra mondiale. Ma con una complessità di costruzione, di andirivieni nel tempo, di giochi stilistici, di allusioni, che lasciano il lettore perso e disorientato in una selva di segni. Se si dovesse provare a raccontare la “trama” di una tessitura che presenta almeno cento personaggi e continui cambiamenti di scena, spesso nella stessa pagina, dalle miniere del Colorado alla grande esposizione di Chicago, da Parigi alla Siberia, da Sofia a Venezia (dove crolla il campanile), dalle Montagne rocciose al Messico rivoluzionario, potremmo dire che, fondamentalmente, Contro il giorno è la storia di una vendetta: quella che i figli dell’ anarchico dinamitardo Webb Traverse vogliono prendersi sul mandante dell’ assassinio del padre, il plutocrate Scarsdale Vibe, inseguendolo in ogni angolo del mondo. Ma anche rispondendo stranamente all’ idea di vendetta: tanto che Kit cederà alla tentazione di farsi pagare da lui gli studi universitari, e sua sorella sposerà uno dei killer. Attorno si muovono la bellissima e sessualmente molto disponibile Yashmeen Halfcourt, figlia di un diplomatico, matematica e bisessuale, gli eternamente raminghi Merle Rideout, fotografo e sua figlia Dally, in cerca di una madre scomparsa, Lew Basnight, detective molto speciale, il dandy Cyprian Latewood, votato agli amori a tre, il rivale (vero) di Thomas Edison Nikola Tesla, inventore serbo, Luca Zombini, mago itinerante, una squadra di ragazzi che sembrano usciti da un romanzo d’ avventure fine Ottocento, i Compari del Caso, che viaggiano su un gigantesco aerostato e sorvolano il mondo cercando di aiutare quei poveracci lì sotto senza però interferire, e il loro cane Pugnax, che parla e legge La principessa Casamassima di Henry James. .. Nelle affollatissime pagine di Pynchon, il mondo è grande ma piccolo: tutti si incontrano e riincontrano come in un unico villaggio, in una festa mobile popolata di anarchici, modelle, modiste, disoccupati, terroristi, matematici, scienziati pazzi, indifferenti alla nozione dello spazio e del tempo. Nessuna lista, nessuna sinopsi potrebbe dare un’ idea della faticosa complessità dell’ invenzione pynchoniana, che si dipana tra attentati terroristici e discussioni matematico-filosofiche, tra eventi straordinari, come il misterioso meteorite caduto nel 1908 su Tunguska, in Siberia, e garbati intrighi veneziani,tra rivoluzioni e guerre, tra la ricerca di utopistiche città e lo scontro con la durezza del vivere, tra notazioni ironiche (a proposito di Torino, ennesima meta dei suoi personaggi: “Ma tu ci credi in un posto così? Non una strada storta a perdita d’ occhio”) e canzoni popolari messe lì a sottolineare l’ intento parodistico. Emerge sì con chiarezza l’ indomito spirito anarchico dell’ eterno figlio dei fiori che è Pynchon(“mi piace fantasticare di quando la terra era libera, prima che i capitalisti repubblicani ultracristiani la rapissero per i loro scopi malvagi a lunga scadenza”), ma anche lo stilista determinato ad essere originale (“la sua serata glabra”), lo scrittore desideroso di mostrare la sua sapienza citando ogni citabile possibile, dal pitagorico Filolao di Taranto a Bertrand Russell, il teorico che dibatte di filosofia della storia (“immagini una storia che non faccia capo a Londra, Parigi, Berlino o San Pietroburgo…”), l’ umorista che ci insegna cosa gridare in croato al momento dell’ orgasmo (“Svr… savam”)… Tanto, troppo. In un affascinante ma debordante romanzo globale che avrebbe potuto essere contenuto nella metà della dimensione attuale, Pynchon, intrecciando storie come Sherazade, perde e ci fa perdere i punti di riferimento, il senso di una trama da padroneggiare, le ragioni del piacere di leggere, vanificate sotto lo sforzo di controllare la memoria. Irritante e straordinario, immaginifico e incontenibile: un romanzo in cerca di lettori devoti e/o pazienti.

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Da La Repubblica Cultura 17 giugno 2009

Scritto da  IRENE BIGNARDI

 

 

Author: Alieni Metropolitani

Gli Alieni Metropolitani non cercano soluzioni. A volte ne trovano… é irrilevante. Appartengono alla Società e con sguardo consapevole ne colgono l’inconsistenza. Non sono accomunati da ideologia, religione o stile di vita ma da una medesima percezione del mondo. Accettano i riti della vita, riuscendone a provare imbarazzo. Scrivere! Una reazione creativa alla sterile inconsistenza del mondo.

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